Compagnia Arakne Mediterranea - Suoni, canti e danze tradizionali del Salento e della Puglia

È bbiake ta vestiria tis ARAKNE,

ce ta KULURIA tis i thea ATHINA

CENNI STORICI

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Intorno al X secolo, si conosceva già in Italia un ragno chiamato Tarantola,capace di creare disturbi all’uomo. Ben più pericoloso era il Latrodectus o Vedova nera,il cui veleno poteva portare alla morte. Ambedue questi ragni hanno abitato, e continuano ad abitare l’Italia e le coste del Mediterraneo. A causa di alcuni episodi di morso velenoso curato con la musica e la danza, si diffuse questa pratica in tutto il meridione d’Italia, come attesta il primo documento del 1362:Sertum papale de venenis,di Guglielmo di Marra da Padova. A partire dal XIV secolo, questa danza fu considerata curativa, cioé capace di guarire dal veleno ipotetico (o reale) della tarantola. Il tarantato era stimolato da particolari ritmi di tamburo,da particolari suoni e colori.

Più tardi, intorno al 1600, queste danze e musiche, originarie della regione di Taranto, presero il nome di Tarantelle.

La presenza di ragni velenosi, pericolosi per l’uomo, è documentata sin dall’antichità da autori greci e latini: Solino, nel 250 già indicava dei decessi causati da Latrodectus nell’isola di Creta.

Ancora in una stampa cretese del ‘600 troviamo scritto: Ciò che gli antichi hanno chiamato Phalangium è una specie di insetto che i Greci di questa isola [Creta] chiamano ancora Sphalangi.E’un animaletto molto pericoloso, non più grosso di un ragno e nemmeno molto differente [da esso]. ha otto piedi, quattro per ogni lato, e altrettante zampe, che hanno le loro articolazioni e le loro giunture e che terminano in due piccoli artigli ricurvi. Queste zampe sono disposte in maniera tale che egli puo’ avanzare e indietreggiare con egual destrezza e con la stessa facilità, di modo che quelle anteriori sembrano destinate a marciare in un senso, quelle di dietro in un altro. Esso, solitamente, sta in dei buchi che scava sotto terra obliquamente e che hanno molti piedi di profondità. Non vi entra che all’indietro, soprattutto quando è gravato da qualche alimento che è obbligato a trascinarsi dietro. Esso ha la precauzione di coprirne l’ingresso con un po’ di paglia, così che la terra tutt’intorno venendo a franare e a cadervi sopra ne nasconda la vista.Questa descrizione è della Tarantola!

Secondo il naturalista tedesco W. Katner (1956 )che partecipò alla spedizione di De Martino,  a partire dal XVII secolo, queste epidemie coreutiche si manifestarono sotto forma di feste popolari, in cui, musicisti e partecipanti provenivano da differenti villaggi e di cui erano principali protagoniste le donne. La popolazione pugliese, dal carattere molto tradizionalista, obbligò la Chiesa ad adattare il Cristianesimo a quelle tradizioni popolari, cioé a far coincidere il suo calendario cristiano con i giorni delle feste tradizionali locali, a costruire le sue chiese vicino ai templi e a sostituire le antiche divinità con i suoi Santi. Ma le manifestazioni con danze sfrenate rimasero inaccettabili per la Chiesa e furono proibite.

Malgrado ciò, questi riti, profondamente radicati nella popolazione, continuarono durante il Medio Evo ad essere praticati al di fuori delle funzioni religiose ufficiali, fino a divenire oggi delle danze popolari durante le feste locali.

Nel corso di queste manifestazioni popolari, le danzatrici e i danzatori più sfrenati erano considerati come:  ATTARANTATI.

Fingono questi esser stati morsi da alcuni animali che nascono nel territorio di Taranto (da cui son nominati) ed esser caduti in quell’infermità, che li rende come pazzi. Vibrano e sbattono la testa, tremano con le ginocchia, spesso al suono cantano e ballano, agitano le labbra, stridono co’ denti e fanno azioni da matti. Niente chiedono, ma il compagno guidone notificando per tutto ch’egli è attarantato, chiede e raccoglie elemosina per loro: oh ingegno, oh arte inaudita per li passati secoli! (R. Frianoro, Il Vagabondo, Viterbo, 1621).

                                                                                                      Giorgio Di Lecce

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